Senza volermi addentrare nei meandri più complessi della genetica (perché non sono una mega-esperta sul tema e perché su “Ti presento il cane” c’è già una rubrica di genetica assai completa, curata da Denis Ferretti che invece mega-esperto lo è), credo che sia necessario fare almeno un po’ di chiarezza su come si possano/debbano scegliere i riproduttori da questo punto di vista.
Niente di troppo complesso, giuro (anche se, quando si tocca questo argomento, di semplice non c’è mai nulla…), ma solo qualche piccolo chiarimento su alcuni punti che, evidentemente, sono fonte di dubbi e sui quali mi sembra ci sia parecchia confusione.
Proverò, insomma, a fare un po di “genetica per la Sciuramaria”, saltando magari anche un po’ di palo in frasca perché – ripeto – questo NON è un trattato, ma piuttosto una “chiacchierata” sul tema.
Se volete approfondire, ma anche se non avete chiaro il significato di termini come geni, alleli, omozigosi ecc., cliccate sul menu in alto alla voce CINOFILIA. Nel sottomenu vi appariranno Allevamento —> Genetica. Lì potrete trovare tutta la rubrica dedicata, nella quale è spiegato proprio tutto dalla A alla Z.
a) “allevamento” e “razza pura” NON sono automaticamente sinonimi di inbreeding, ovvero di stretta consanguineità.
L’allevamento di cani di razza pura si prefigge, ovviamente, di aumentare l’omozigosi (che invece resta immutata con gli accoppiamenti casuali), per “fissare” , come si dice in gergo, le caratteristiche più desiderate.
Negli accoppiamenti casuali le frequenze genotipiche possono cambiare a seguito di mutazioni spontanee o di particolari condizioni logistiche (isolamento geografico, migrazioni ecc.): e cambiano, in parte, anche a causa della selezione naturale (la famosa “sopravvivenza del più forte” comporta la maggior diffusione di alcuni genotipi rispetto ad altri che, manifestando maggiore debolezza, non sopravvivono e quindi non si riproducono).
Nella selezione umana questa azione è velocizzata e – almeno nelle intenzioni – resa più efficace dalla scelta dei riproduttori che si ritengono (anche grazie alla possibilità di effettuare indagini, come test del DNA, radiografie, ecografie ecc.) geneticamente più “sani”, o comunque più in linea con i nostri scopi, siano essi sanitari, “estetici” o utilitaristici (per esempio: i cani di tipo basset sono portatori di una patologia, la condrodistrofia, che però è perfettamente compatibile con la vita: quindi essa è stata selezionata, riprodotta e fissata per offrire all’uomo cani capaci di infilarsi nelle tane dei selvatici).
b) selezione umana e selezione naturale, mediamente, NON sono in contraddizione, perché la selezione naturale agisce anche sui cani selezionati dall’uomo (così come agisce su qualsiasi essere vivente).
Le due cose non si prendono a pugni, ma normalmente camminano di pari passo: la selezione umana tende semmai ad “aiutare” e a migliorare, con il sostegno della scienza, quella naturale.
Solo in alcuni casi la selezione umana prende una direzione diversa (ma non necessariamente antitetica) da quella naturale: per esempio quando vuole fissare un carattere (che so: le orecchie portate in un certo modo) che per la selezione naturale sarebbe ininfluente, perché non comporta alcun cambiamento delle possibilità di sopravvivenza della specie.
In altri casi ancora, decisamente più rari, può accadere invece che la selezione umana entri proprio “in conflitto” con quella naturale, o per meglio dire che prenda il sopravvento su di essa: è il caso, per esempio, dei cani con musi particolarmente corti, che in natura non esistono.
Su questo tema spesso arrivano gli “scanni feroci” da parte di chi sostiene che si siano “rovinate” le razze rendendole incapaci di vivere in natura: ma il fatto è che il cane NON vive più in natura.
Non deve più vivere nei boschi, non deve inseguire e catturarsi le prede, non deve partorire senza alcun aiuto in un buco scavato nel terreno.
Il cane è un animale domestico, con tutti gli svantaggi – ma anche con i vantaggi – che questo comporta.
La pappa si trova pronta in ciotola, se fa freddo c’è il termosifone a portata di zampa, gli accoppiamenti e i parti hanno la scienza medica a loro disposizione.
Parlare di “mostruosità” quando ci si riferisce a cani che non sopravviverebbero in natura è assurdo, oltre che un filino nazista: perché allora si dovrebbe anche giustificare lo sterminio degli umani che non potrebbero sopravvivere in mezzo a un bosco né come individui, né come specie.
Tutti i disabili, tutti gli individui sterili, magari pure gli omosessuali, perché no (visto che non si riproducono).
Vi rammento che Hitler la pensava esattamente nello stesso modo, a parte il fatto che lui, già che c’era, ci metteva dentro anche ebrei, zingari e comunisti.
Ma se ci pensiamo bene, tolti forse i fanatici degli sport estremi e degli stage di sopravvivenza… quanti di noi umani sani e normodotati riuscirebbero a sopravvivere “in natura”?
Se siamo ancora vivi, è proprio perché non ci viviamo più! E lo stesso vale per i nostri cani.
Quindi la giusta ottica non è quella di eliminare le razze che non potrebbero sopravvivere “lì”, ma semmai di badare a non far nascere cani che non possono sopravvivere neanche “qui”: ovvero in questa nostra società, che ha a disposizione tutti i mezzi per far vivere nel benessere ANCHE gli individui fisicamente meno dotati.
In altre parole: non è poi così “mostruoso” che esistano carlini e bulldog, anche se spesso i loro accoppiamenti vanno assistiti e le nascite richiedono il cesareo, perché la nostra società è perfettamente in grado di assisterli e di garantire il loro benessere.
E’ mostruoso, invece, che esistano bulldog e carlini che NON RESPIRANO, o che non camminano più: perché quei cani vivono male e la nostra società non è capace di risolvere i loro problemi.
Ecco, questo sì che va evitato ad ogni costo.
Va evitata la sofferenza in nome della bellezza (o meglio, dell’ipertipo, che con la bellezza cinotecnica non ha nulla a che fare); va evitata la nascita di soggetti destinati al malessere e non al benessere… anche se qui, di solito, la selezione naturale torna a farsi sentire, e i soggetti “troppo” spinti verso il malessere li elimina lei.
Ma la selezione naturale agisce lentamente e senza alcuno scrupolo etico: quindi non vediamola come se fosse una divinità infallibile o un faro a cui tendere a tutti i costi: perché sarà pure “divina” per la specie, ma non lo è MAI per l’individuo.
Dell’individuo, a Madre Natura, non importa una beatissima cippa.
Prima che la selezione naturale agisca su una certa caratteristica e la faccia scomparire, possono nascere intere generazioni di animali sofferenti, che vivono una vita infame.
La selezione umana, tra le altre cose, ha anche lo scopo (e avrebbe proprio il dovere) di evitare questi passaggi: perché a noi, invece, importa eccome del singolo individuo. E’ il nostro cane, è un membro della nostra famiglia: non è “un numero”!
Ma per la natura sì, che lo è. La natura considera gli individui con la stessa pietas di uno sperimentatore vivisezionista. Quindi, siamo davvero così sicuri di voler “lasciar fare a lei”?
c) selezionare NON significa “accoppiare i due cani più belli che ho a disposizione”, e tantomeno i due cani “che hanno vinto di più”: prima di utilizzare un riproduttore bisognerebbe SEMPRE analizzare anche i suoi antenati, i suoi collaterali e la sua discendenza (se ha già avuto figli, ovviamente) dal punto di vista sanitario, caratteriale ed estetico, possibilmente IN QUEST’ORDINE.
Ma il dramma dell’allevamento moderno non è tanto quello di aver “rovesciato” l’ordine: non sarebbe poi così drammatico se un allevatore scegliesse prima “il bello”, se poi si preoccupasse anche del fatto che fosse sano e di buon carattere.
Il dramma sta, invece, nel fatto che molti allevatori (ma magari chiamiamoli “commercianti di cani”, che è più indicato. O magari “cagnari”, tout court) badano SOLO alla bellezza e ignorano completamente le altre due componenti, salute e carattere.
Ma questa non è colpa del fatto che esistano le razze: è colpa del fatto che esista gente senza scrupoli, che pensa solo a speculare sui cani anziché a migliorarne le caratteristiche.
Se imparassimo tutti a distinguere tra “allevatori” in senso zootecnico e “sfornatori di cuccioli”, tante accuse “al cane di razza” in quanto tale non avrebbero più ragione di esistere;
d) la consanguineità NON CREA LE TARE.
Questo ce lo dobbiamo proprio levare dalla testa.
La maggior parte della gente ne è convinta solo per via del tabù dell’incesto (umano), che in realtà non è nato con la connotazione morale che ha ai giorni nostri, ma solo come prodotto della “selezione umana sugli umani”. Ovvero, è nato quando si è capito che le tare genetiche, di cui disponiamo in gran numero (più dei cani), si manifestavano maggiormente se si accoppiavano individui imparentati tra loro.
Ovviamente, per creare un tabù nella specie umana, si è poi data alla cosa una connotazione etica, religiosa e quant’altro: ma la vera motivazione è sempre stata solo genetica.
Il punto importante, però, è capire che la consanguineità fa emergere le tare che già esistono, ma non ne “fabbrica” di nuove. Neppure nell’uomo.
Edipo, che dopo aver fregato la Sfinge si sposò – senza saperlo – con sua madre Giocasta, ebbe figli sfigatissimi (due fratelli – di cui non ricordo il nome, sorry – si ammazzarono tra loro, mentre la figlia Antigone si impiccò, ma non prima di aver incarnato l’ideale di tutte le “donne con le palle” dall’antica Grecia in poi), ma NON tarati!
Scherzi (macabri) a parte: se per assurdo si potesse iniziare l’allevamento di una razza – umana, canina o equina che sia – partendo da due soggetti perfettamente sani, senza alcun difetto nei loro geni, potremmo poi incrociare figli e nipoti tra loro per generazioni e generazioni senza che si manifestasse mai alcuna malattia (di origine genetica, ovviamente: perché il raffreddore se lo prenderebbero lo stesso).
Tra le altre cose… si vede che i geni di Adamo ed Eva NON erano perfettamente sani, altrimenti non staremmo qui a porci certi problemi.
Però, se davvero fossimo tutti discendenti da quell’unica coppia, bisognerebbe anche dire che tanto mal presi geneticamente non erano, perché altrimenti “non saremmo qui” e basta. La razza umana si sarebbe estinta da quel dì.
Ovviamente quella di Adamo ed Eva è una leggenda, e spero che la ritengano tale anche i credenti (spero: altrimenti ci sarebbe da chiedersi perché Dio, intanto che si dava da fare con fango e costole, non abbia pensato a darci anche geni perfetti. D’accordo il libero arbitrio, d’accordo le punizioni divine perché la mela e il serpente eccetera eccetera…ma i geni faloppi ce li ha messi lui: mica sono colpa di Eva); il fatto è che di esseri viventi “totalmente” esenti da difetti genetici forse non ne esistono affatto (però qualcuno ci va vicino. Mi secca citare sempre Colby, che era un allevatore di cani da combattimento: però lui fece il primo outcross dopo qualcosa come trent’anni di allevamento SOLO in inbreeding, senza che i suoi cani manifestassero mai il minimo problema genetico).
Si è addirittura ipotizzato che la presenza di tare sia stata una “scelta” della natura per evitare il sovraffollamento. In pratica, malattie e morti precoci sarebbero una difesa delle specie, che se fossero composte tutte e solo da individui sanissimi diventerebbero troppo numerose e quindi incorrerebbero in problemi ancor più gravi per la difficoltà di trovare risorse sufficienti per tutti.
Comunque sia andata, imperfetti siamo e con queste imperfezioni dobbiamo convivere: però oggi abbiamo la possibilità di identificare – se non tutte – almeno molte patologie genetiche e di sapere come e quando si manifestano… dopodiché possiamo scegliere i soggetti più sani che abbiamo a disposizione, e lavorare su quelli anziché allevare ad capocchiam (o “alla spera in Dio” che dir si voglia).
e) PORTATORE (di una tara genetica) NON SIGNIFICA “MALATO”.
Il portatore sano passa, sì, i geni “tarati” alla sua discendenza: ma finché questo succede solo a livello genetico, non succede assolutamente niente. Questo ci permette di NON eliminare dalla riproduzione tutti gli individui che portano una tara, ma di accoppiarli oculatamente in modo che questa tara non si manifesti nel fenotipo, ovvero “esteriormente”, pur rimanendo latente nel corredo genetico.
La malattia “vera”, quella invalidante o comunque causa di malessere, è solo quella che si manifesta: quindi, in molti casi, si può tranquillamente accoppiare un soggetto portatore con un soggetto sano ottenendo una prole sanissima…e si può andare avanti così per millemila generazioni, senza mai avere un solo individuo malato. Uno dei più grandi capostipiti della razza pastore tedesco, Canto v. Wienerau, era portatore di emofilia: una volta individuato il problema ed effettuati solo accoppiamenti oculati, la malattia non si diffuse tra i discendenti, nonostante Canto sia presente nel 90% circa dei pedigree tedeschi.
L’importante è sapere chi è portatore della tara X e chi non lo è, ed accoppiare oculatamente: ovvero, selezionare per evitare gli accoppiamenti casuali che, invece, potrebbero far incontrare un padre e una madre portatori dello stesso problema, che a quel punto si manifesterebbe nei figli.
Qualcuno obietterà: ma “in natura” questo è poco probabile!
Forse. Ma…dipende da quale “natura” intendiamo.
Se pensiamo agli spazi sterminati che vediamo nei documentari, presumendo che ogni individuo abbia disposizione un intero mondo da esplorare prima di scegliere il proprio partener sessuale…allora sì, la cosa è poco probabile.
Ma la realtà è un po’ diversa.
Nella realtà, sia uomini che cani hanno a disposizione spazi molto più limitati in cui muoversi ed accoppiarsi. Perché il mondo è molto più piccolo di quanto non ci sembri.
Perfino calciatori e veline, pur essendo forse – tra gli umani – quelli che hanno maggiori possibilità di spostamento, sempre in aereo e in giro per il mondo, finiscono per accoppiarsi tanto spesso tra loro, perché alla fin fine frequentano sempre gli stessi posti. Figuriamoci i cani!
I teorici “cani naturali”, che poi si riducono, allo stato attuale, ai cani di campagna lasciati incustoditi, hanno a disposizione un pool genetico molto più limitato di quanto non si pensi. La cagnetta del vicino, il maschietto del cugino (e speriamo non del “cuggino”)…la figlia di Fufi che sta nella cascina accanto, o il papà di Bubi che abita a duecento metri di distanza.
A causa dell’isolamento geografico, in tempi preistorici, si sono fissate naturalmente diverse razze (o “pre-razze”, se preferiamo): comunque tipologie ben precise, che già vedevano cani grossi, piccoli, nudi, pelosissimi, alti, bassi.
Questo senza alcun bisogno di interventi umani, in tempi in cui per “isolamento geografico” si intendeva, magari, un intero Stato attuale.
Oggi che le distanze geografiche, per i cani, si misurano in quartieri… di quale “natura” – e di quale variabilità genetica – stiamo parlando?
e) si fa un gran parlare di cose come il “vigore ibrido” (o eterosi) e la “depressione da consanguineità”.
Forse è il caso di dire che, nel caso del cane, si tratta di IPOTESI, che non hanno avuto – almeno finora – alcun riscontro scientifico certo.
Solo nelle piante (anzi, solo in alcune), il vigore ibrido è stato effettivamente verificato: però tra un cane e un pisello c’è una certa differenza… basti pensare che nei piselli si riscontra solo l’ereditarietà mendeliana – anzi, viceversa: è stato Mendel a studiare solo l’ereditarietà piselliana! – mentre nei cani le cose sono decisamente più complesse!
Comunque: la depressione da consanguineità consisterebbe (sempre teoricamente) in una diminuzione della fecondità e in una minore vitalità e sopravvivenza neonatale, sempre legata però al concetto già espresso: la consanguineità mette in evidenza le tare esistenti.
Quando si manifestano (perché la consanguineità permette l’incontro di geni “tarati” in entrambi i genitori) geni letali o subletali, ovviamente il numero dei nati si abbassa (i geni letali uccidono direttamente in utero) e/o si alza il numero delle morti neonatali.
Questa “depressione” va comunque intesa soprattutto come numerica, mentre non esiste alcuna prova scientifica del fatto che i cani consanguinei siano meno robusti o meno longevi di quelli nati da outcross.
Il vigore ibrido sarebbe (teoricamente) un potenziamento delle caratteristiche vitali ottenuto da incroci eterogenei: ripeto, nei piselli è stato sperimentato. Anche nella canapa, se non erro. Ma nei cani no. Non esiste alcuna evidenza scientifica a suffragio di questa teoria.
Ancora una volta, quello che si cerca di ottenere con incroci eterogenei è soltanto una sorta di “ridistribuzione” del materiale genetico, nella speranza che si combini in modo a noi gradito.
Ma non è detto che le cose vadano così.
Purtroppo – sperimentato anche sulla mia pelle, o meglio su quella dei miei cani – la verità è che l’outcross solitamente porta, almeno in prima generazione, alla comparsa di caratteri (fenotipici) tutt’altro che desiderati… specie se hai passato mezza vita ad allevare cani più omogenei possibile, che portassero “il tuo marchio di fabbrica”. E questa è una cosa a cui tutti gli allevatori tengono moltissimo non perché amino fare i cani “griffati”, ma perché “quel” tipo di cane è, per loro, l’espressione ottimale della razza.
Ovvio che l’espressione la fissi lavorando in consanguineità: ma non necessariamente in inbreeding.
Personalmente ho accoppiato una sola volta in vita mia padre e figlia, dopodiché ho sempre lavorato su ceppi limitrofi ma non diretti (in parole povere: cugini, nipoti e affini). Questo, che si chiama linebreeding, è di gran lunga il metodo più usato in allevamento.
Certo, quando lavori su poche linee rischi di fissare, insieme ai caratteri desiderati, anche le tare: per questo io ritengo consigliabile allontanarsi, almeno una volta ogni tanto, dalla “linea portante” e introdurre sangue nuovo. Però, quando l’ho fatto, i cuccioli sono stati veramente deludenti, almeno dal punto di vista fenotipico.
Mi auguro (perché in realtà non lo so e non lo saprò mai) che il “sacrificio” estetico sia servito a dare linfa nuova al loro genotipo: ma per quel che ne so, potrei anche essermi messa “in casa” una nuova tara che per fortuna, a quanto ne so, non si è mai manifestata… ma che potrebbe farlo anche domani, anche se sono vent’anni che ho smesso di allevare, qualora si incontrassero e si incrociassero due cani entrambi portatori, che discendono da quel mio lontano accoppiamento.
E ancora una volta, il problema non sarebbe la consanguineità in se stessa, ma le tare GIA’ presenti in quei geni.
f) se siete ancora vivi… facciamo ancora quest’ultima disquisizione (corta, giuro) su “come scegliere il partner”, ricordando che è assolutamente sbagliato cercare in un soggetto la compensazione ai difetti dell’altro.
E’ un errore diffusissimo, specie tra chi di genetica ne mastica pochina, quindi vale la pena di parlarne.
Il succo è questo: se accoppi un cane con la coda storta verso destra con una cagna che ha la coda storta verso sinistra, NON avrai cuccioli con la coda dritta! Avrai, invece, un 50% di cuccioli con la coda che gira a destra e un 50% con la coda che gira a sinistra.
Detta così è un filino semplicistica, ok: ma il succo è questo.
Il cane con la coda storta a destra andrebbe sempre e solo accoppiato con una cagna con la coda dritta: in questo caso avrai maggiori possibilità che almeno metà dei cuccioli abbia la coda dritta (in realtà sarebbe esattamente così se i cani si riproducessero solo in base all’ereditarietà mendeliana: abbiamo già detto che così non è, e non sto a spiegarne qui i motivi perché non ne usciremmo vivi… però lo capirete se leggerete la nostra rubrica di genetica, dove invece è spiegato proprio tutto per filo e per segno).
EXCURSUS FINALE IPER-TECNICO
Inserisco qui, per completezza (ma senza troppe illusioni che qualcuno la legga!), la formula del coefficiente di inbreeding, che andrebbe sempre valutato…almeno quando si vuole selezionare seriamente.
Dubito che possa interessare più di tanto le Sciuremarie che pensano di far fare una cucciolata alla Fufi, ma… non si sa mai. Intanto facciamo loro sapere che esiste.
Il coefficiente di inbreeding, chiamato F dal suo inventore Wright (che lo formulò negli anni ’20), viene invece chiamato comunemente COI dagli allevatori (malignata: almeno da quelli che sanno che esiste!) e si calcola così:
F X = S [(½) n + n' + 1 ] (1+FA)
Laddove:
Fx è il coefficiente di consanguineità di X
n è il numero di generazioni che separano il padre di X da un antenato A, comune sia al padre che alla madre di X
n’ è il numero di generazioni che separano la madre di X dallo stesso antenato comune A
S è la sommatoria dei contributi diversi dovuti a ciascun ascendente comune
FA è il coefficiente di consanguineità dell’ascendente comune A (nel caso sia esso stesso inincrociato)
Se siete andati in coma profondo (non preoccupatevi: siete in buona compagnia), facciamo qualche esempio pratico, che è più semplice:
In un incrocio tra fratello e sorella, o tra padre e figlia, o tra madre e figlio, X sarà inincrociato per il 25%
In un incrocio tra fratellastri (un solo genitore in comune), X sarà inincrociato per il 12,5%
Dopo due generazioni di accoppiamenti tra fratello e sorella con 4 ascendenti comuni , X sarà inincrociato per il 37,5%
…e così via.
Ovviamente, da un ipotetico accoppiamento madre x figlio, i prodotti saranno consanguinei per il 25%…ma se una figlia di questa cucciolata venisse nuovamente accoppiata con il padre, la consanguineità salirebbe al 37,5%, e via aumentando se si continuasse ad accoppiare il maschio originale con nipoti, bisnipoti e così via.
C’è un limite invalicabile al coefficiente di consanguineità?
Teoricamente no, se si fosse sicuri di usare solo soggetti sani al 100%: ma siccome abbiamo visto che questo in pratica non avviene mai, la prudenza suggerisce normalmente di tenersi entro il 12-15%.
E’ importante ricordare che non ha molto senso limitarsi ad esaminare padre e madre di una cucciolata, perché il COI potrebbe salire vertiginosamente nel caso in cui questi due soggetti derivassero a loro volta da inbreeding: così come ha poco senso esaminare soggetti oltre la quinta-sesta generazione, perché il loro contributo genetico diventa pressoché ininfluente.
Per chi (come la sottoscritta) andasse nel panico e si coprisse di bolle di fronte a qualsiasi formula matematica, ricordo infine che esistono dei software, Dio li abbia in gloria, che permettono di valutare comodamente il COI inserendo semplicemente i pedigree dei cani interessati sul proprio PC. E non solo: per alcune razze (non molte: mi vengono in mente setter, bracco italiano e pastore tedesco…e personalmente non ne conosco altre, ma questo non significa che non ce ne siano) si possono anche trovare database già pronti in cui si può verificare il COI di tutti i soggetti iscritti ai libri genealogici.
da Ti presento il cane
Niente di troppo complesso, giuro (anche se, quando si tocca questo argomento, di semplice non c’è mai nulla…), ma solo qualche piccolo chiarimento su alcuni punti che, evidentemente, sono fonte di dubbi e sui quali mi sembra ci sia parecchia confusione.
Proverò, insomma, a fare un po di “genetica per la Sciuramaria”, saltando magari anche un po’ di palo in frasca perché – ripeto – questo NON è un trattato, ma piuttosto una “chiacchierata” sul tema.
Se volete approfondire, ma anche se non avete chiaro il significato di termini come geni, alleli, omozigosi ecc., cliccate sul menu in alto alla voce CINOFILIA. Nel sottomenu vi appariranno Allevamento —> Genetica. Lì potrete trovare tutta la rubrica dedicata, nella quale è spiegato proprio tutto dalla A alla Z.
a) “allevamento” e “razza pura” NON sono automaticamente sinonimi di inbreeding, ovvero di stretta consanguineità.
L’allevamento di cani di razza pura si prefigge, ovviamente, di aumentare l’omozigosi (che invece resta immutata con gli accoppiamenti casuali), per “fissare” , come si dice in gergo, le caratteristiche più desiderate.
Negli accoppiamenti casuali le frequenze genotipiche possono cambiare a seguito di mutazioni spontanee o di particolari condizioni logistiche (isolamento geografico, migrazioni ecc.): e cambiano, in parte, anche a causa della selezione naturale (la famosa “sopravvivenza del più forte” comporta la maggior diffusione di alcuni genotipi rispetto ad altri che, manifestando maggiore debolezza, non sopravvivono e quindi non si riproducono).
Nella selezione umana questa azione è velocizzata e – almeno nelle intenzioni – resa più efficace dalla scelta dei riproduttori che si ritengono (anche grazie alla possibilità di effettuare indagini, come test del DNA, radiografie, ecografie ecc.) geneticamente più “sani”, o comunque più in linea con i nostri scopi, siano essi sanitari, “estetici” o utilitaristici (per esempio: i cani di tipo basset sono portatori di una patologia, la condrodistrofia, che però è perfettamente compatibile con la vita: quindi essa è stata selezionata, riprodotta e fissata per offrire all’uomo cani capaci di infilarsi nelle tane dei selvatici).
b) selezione umana e selezione naturale, mediamente, NON sono in contraddizione, perché la selezione naturale agisce anche sui cani selezionati dall’uomo (così come agisce su qualsiasi essere vivente).
Le due cose non si prendono a pugni, ma normalmente camminano di pari passo: la selezione umana tende semmai ad “aiutare” e a migliorare, con il sostegno della scienza, quella naturale.
Solo in alcuni casi la selezione umana prende una direzione diversa (ma non necessariamente antitetica) da quella naturale: per esempio quando vuole fissare un carattere (che so: le orecchie portate in un certo modo) che per la selezione naturale sarebbe ininfluente, perché non comporta alcun cambiamento delle possibilità di sopravvivenza della specie.
In altri casi ancora, decisamente più rari, può accadere invece che la selezione umana entri proprio “in conflitto” con quella naturale, o per meglio dire che prenda il sopravvento su di essa: è il caso, per esempio, dei cani con musi particolarmente corti, che in natura non esistono.
Su questo tema spesso arrivano gli “scanni feroci” da parte di chi sostiene che si siano “rovinate” le razze rendendole incapaci di vivere in natura: ma il fatto è che il cane NON vive più in natura.
Non deve più vivere nei boschi, non deve inseguire e catturarsi le prede, non deve partorire senza alcun aiuto in un buco scavato nel terreno.
Il cane è un animale domestico, con tutti gli svantaggi – ma anche con i vantaggi – che questo comporta.
La pappa si trova pronta in ciotola, se fa freddo c’è il termosifone a portata di zampa, gli accoppiamenti e i parti hanno la scienza medica a loro disposizione.
Parlare di “mostruosità” quando ci si riferisce a cani che non sopravviverebbero in natura è assurdo, oltre che un filino nazista: perché allora si dovrebbe anche giustificare lo sterminio degli umani che non potrebbero sopravvivere in mezzo a un bosco né come individui, né come specie.
Tutti i disabili, tutti gli individui sterili, magari pure gli omosessuali, perché no (visto che non si riproducono).
Vi rammento che Hitler la pensava esattamente nello stesso modo, a parte il fatto che lui, già che c’era, ci metteva dentro anche ebrei, zingari e comunisti.
Ma se ci pensiamo bene, tolti forse i fanatici degli sport estremi e degli stage di sopravvivenza… quanti di noi umani sani e normodotati riuscirebbero a sopravvivere “in natura”?
Se siamo ancora vivi, è proprio perché non ci viviamo più! E lo stesso vale per i nostri cani.
Quindi la giusta ottica non è quella di eliminare le razze che non potrebbero sopravvivere “lì”, ma semmai di badare a non far nascere cani che non possono sopravvivere neanche “qui”: ovvero in questa nostra società, che ha a disposizione tutti i mezzi per far vivere nel benessere ANCHE gli individui fisicamente meno dotati.
In altre parole: non è poi così “mostruoso” che esistano carlini e bulldog, anche se spesso i loro accoppiamenti vanno assistiti e le nascite richiedono il cesareo, perché la nostra società è perfettamente in grado di assisterli e di garantire il loro benessere.
E’ mostruoso, invece, che esistano bulldog e carlini che NON RESPIRANO, o che non camminano più: perché quei cani vivono male e la nostra società non è capace di risolvere i loro problemi.
Ecco, questo sì che va evitato ad ogni costo.
Va evitata la sofferenza in nome della bellezza (o meglio, dell’ipertipo, che con la bellezza cinotecnica non ha nulla a che fare); va evitata la nascita di soggetti destinati al malessere e non al benessere… anche se qui, di solito, la selezione naturale torna a farsi sentire, e i soggetti “troppo” spinti verso il malessere li elimina lei.
Ma la selezione naturale agisce lentamente e senza alcuno scrupolo etico: quindi non vediamola come se fosse una divinità infallibile o un faro a cui tendere a tutti i costi: perché sarà pure “divina” per la specie, ma non lo è MAI per l’individuo.
Dell’individuo, a Madre Natura, non importa una beatissima cippa.
Prima che la selezione naturale agisca su una certa caratteristica e la faccia scomparire, possono nascere intere generazioni di animali sofferenti, che vivono una vita infame.
La selezione umana, tra le altre cose, ha anche lo scopo (e avrebbe proprio il dovere) di evitare questi passaggi: perché a noi, invece, importa eccome del singolo individuo. E’ il nostro cane, è un membro della nostra famiglia: non è “un numero”!
Ma per la natura sì, che lo è. La natura considera gli individui con la stessa pietas di uno sperimentatore vivisezionista. Quindi, siamo davvero così sicuri di voler “lasciar fare a lei”?
c) selezionare NON significa “accoppiare i due cani più belli che ho a disposizione”, e tantomeno i due cani “che hanno vinto di più”: prima di utilizzare un riproduttore bisognerebbe SEMPRE analizzare anche i suoi antenati, i suoi collaterali e la sua discendenza (se ha già avuto figli, ovviamente) dal punto di vista sanitario, caratteriale ed estetico, possibilmente IN QUEST’ORDINE.
Ma il dramma dell’allevamento moderno non è tanto quello di aver “rovesciato” l’ordine: non sarebbe poi così drammatico se un allevatore scegliesse prima “il bello”, se poi si preoccupasse anche del fatto che fosse sano e di buon carattere.
Il dramma sta, invece, nel fatto che molti allevatori (ma magari chiamiamoli “commercianti di cani”, che è più indicato. O magari “cagnari”, tout court) badano SOLO alla bellezza e ignorano completamente le altre due componenti, salute e carattere.
Ma questa non è colpa del fatto che esistano le razze: è colpa del fatto che esista gente senza scrupoli, che pensa solo a speculare sui cani anziché a migliorarne le caratteristiche.
Se imparassimo tutti a distinguere tra “allevatori” in senso zootecnico e “sfornatori di cuccioli”, tante accuse “al cane di razza” in quanto tale non avrebbero più ragione di esistere;
d) la consanguineità NON CREA LE TARE.
Questo ce lo dobbiamo proprio levare dalla testa.
La maggior parte della gente ne è convinta solo per via del tabù dell’incesto (umano), che in realtà non è nato con la connotazione morale che ha ai giorni nostri, ma solo come prodotto della “selezione umana sugli umani”. Ovvero, è nato quando si è capito che le tare genetiche, di cui disponiamo in gran numero (più dei cani), si manifestavano maggiormente se si accoppiavano individui imparentati tra loro.
Ovviamente, per creare un tabù nella specie umana, si è poi data alla cosa una connotazione etica, religiosa e quant’altro: ma la vera motivazione è sempre stata solo genetica.
Il punto importante, però, è capire che la consanguineità fa emergere le tare che già esistono, ma non ne “fabbrica” di nuove. Neppure nell’uomo.
Edipo, che dopo aver fregato la Sfinge si sposò – senza saperlo – con sua madre Giocasta, ebbe figli sfigatissimi (due fratelli – di cui non ricordo il nome, sorry – si ammazzarono tra loro, mentre la figlia Antigone si impiccò, ma non prima di aver incarnato l’ideale di tutte le “donne con le palle” dall’antica Grecia in poi), ma NON tarati!
Scherzi (macabri) a parte: se per assurdo si potesse iniziare l’allevamento di una razza – umana, canina o equina che sia – partendo da due soggetti perfettamente sani, senza alcun difetto nei loro geni, potremmo poi incrociare figli e nipoti tra loro per generazioni e generazioni senza che si manifestasse mai alcuna malattia (di origine genetica, ovviamente: perché il raffreddore se lo prenderebbero lo stesso).
Tra le altre cose… si vede che i geni di Adamo ed Eva NON erano perfettamente sani, altrimenti non staremmo qui a porci certi problemi.
Però, se davvero fossimo tutti discendenti da quell’unica coppia, bisognerebbe anche dire che tanto mal presi geneticamente non erano, perché altrimenti “non saremmo qui” e basta. La razza umana si sarebbe estinta da quel dì.
Ovviamente quella di Adamo ed Eva è una leggenda, e spero che la ritengano tale anche i credenti (spero: altrimenti ci sarebbe da chiedersi perché Dio, intanto che si dava da fare con fango e costole, non abbia pensato a darci anche geni perfetti. D’accordo il libero arbitrio, d’accordo le punizioni divine perché la mela e il serpente eccetera eccetera…ma i geni faloppi ce li ha messi lui: mica sono colpa di Eva); il fatto è che di esseri viventi “totalmente” esenti da difetti genetici forse non ne esistono affatto (però qualcuno ci va vicino. Mi secca citare sempre Colby, che era un allevatore di cani da combattimento: però lui fece il primo outcross dopo qualcosa come trent’anni di allevamento SOLO in inbreeding, senza che i suoi cani manifestassero mai il minimo problema genetico).
Si è addirittura ipotizzato che la presenza di tare sia stata una “scelta” della natura per evitare il sovraffollamento. In pratica, malattie e morti precoci sarebbero una difesa delle specie, che se fossero composte tutte e solo da individui sanissimi diventerebbero troppo numerose e quindi incorrerebbero in problemi ancor più gravi per la difficoltà di trovare risorse sufficienti per tutti.
Comunque sia andata, imperfetti siamo e con queste imperfezioni dobbiamo convivere: però oggi abbiamo la possibilità di identificare – se non tutte – almeno molte patologie genetiche e di sapere come e quando si manifestano… dopodiché possiamo scegliere i soggetti più sani che abbiamo a disposizione, e lavorare su quelli anziché allevare ad capocchiam (o “alla spera in Dio” che dir si voglia).
e) PORTATORE (di una tara genetica) NON SIGNIFICA “MALATO”.
Il portatore sano passa, sì, i geni “tarati” alla sua discendenza: ma finché questo succede solo a livello genetico, non succede assolutamente niente. Questo ci permette di NON eliminare dalla riproduzione tutti gli individui che portano una tara, ma di accoppiarli oculatamente in modo che questa tara non si manifesti nel fenotipo, ovvero “esteriormente”, pur rimanendo latente nel corredo genetico.
La malattia “vera”, quella invalidante o comunque causa di malessere, è solo quella che si manifesta: quindi, in molti casi, si può tranquillamente accoppiare un soggetto portatore con un soggetto sano ottenendo una prole sanissima…e si può andare avanti così per millemila generazioni, senza mai avere un solo individuo malato. Uno dei più grandi capostipiti della razza pastore tedesco, Canto v. Wienerau, era portatore di emofilia: una volta individuato il problema ed effettuati solo accoppiamenti oculati, la malattia non si diffuse tra i discendenti, nonostante Canto sia presente nel 90% circa dei pedigree tedeschi.
L’importante è sapere chi è portatore della tara X e chi non lo è, ed accoppiare oculatamente: ovvero, selezionare per evitare gli accoppiamenti casuali che, invece, potrebbero far incontrare un padre e una madre portatori dello stesso problema, che a quel punto si manifesterebbe nei figli.
Qualcuno obietterà: ma “in natura” questo è poco probabile!
Forse. Ma…dipende da quale “natura” intendiamo.
Se pensiamo agli spazi sterminati che vediamo nei documentari, presumendo che ogni individuo abbia disposizione un intero mondo da esplorare prima di scegliere il proprio partener sessuale…allora sì, la cosa è poco probabile.
Ma la realtà è un po’ diversa.
Nella realtà, sia uomini che cani hanno a disposizione spazi molto più limitati in cui muoversi ed accoppiarsi. Perché il mondo è molto più piccolo di quanto non ci sembri.
Perfino calciatori e veline, pur essendo forse – tra gli umani – quelli che hanno maggiori possibilità di spostamento, sempre in aereo e in giro per il mondo, finiscono per accoppiarsi tanto spesso tra loro, perché alla fin fine frequentano sempre gli stessi posti. Figuriamoci i cani!
I teorici “cani naturali”, che poi si riducono, allo stato attuale, ai cani di campagna lasciati incustoditi, hanno a disposizione un pool genetico molto più limitato di quanto non si pensi. La cagnetta del vicino, il maschietto del cugino (e speriamo non del “cuggino”)…la figlia di Fufi che sta nella cascina accanto, o il papà di Bubi che abita a duecento metri di distanza.
A causa dell’isolamento geografico, in tempi preistorici, si sono fissate naturalmente diverse razze (o “pre-razze”, se preferiamo): comunque tipologie ben precise, che già vedevano cani grossi, piccoli, nudi, pelosissimi, alti, bassi.
Questo senza alcun bisogno di interventi umani, in tempi in cui per “isolamento geografico” si intendeva, magari, un intero Stato attuale.
Oggi che le distanze geografiche, per i cani, si misurano in quartieri… di quale “natura” – e di quale variabilità genetica – stiamo parlando?
e) si fa un gran parlare di cose come il “vigore ibrido” (o eterosi) e la “depressione da consanguineità”.
Forse è il caso di dire che, nel caso del cane, si tratta di IPOTESI, che non hanno avuto – almeno finora – alcun riscontro scientifico certo.
Solo nelle piante (anzi, solo in alcune), il vigore ibrido è stato effettivamente verificato: però tra un cane e un pisello c’è una certa differenza… basti pensare che nei piselli si riscontra solo l’ereditarietà mendeliana – anzi, viceversa: è stato Mendel a studiare solo l’ereditarietà piselliana! – mentre nei cani le cose sono decisamente più complesse!
Comunque: la depressione da consanguineità consisterebbe (sempre teoricamente) in una diminuzione della fecondità e in una minore vitalità e sopravvivenza neonatale, sempre legata però al concetto già espresso: la consanguineità mette in evidenza le tare esistenti.
Quando si manifestano (perché la consanguineità permette l’incontro di geni “tarati” in entrambi i genitori) geni letali o subletali, ovviamente il numero dei nati si abbassa (i geni letali uccidono direttamente in utero) e/o si alza il numero delle morti neonatali.
Questa “depressione” va comunque intesa soprattutto come numerica, mentre non esiste alcuna prova scientifica del fatto che i cani consanguinei siano meno robusti o meno longevi di quelli nati da outcross.
Il vigore ibrido sarebbe (teoricamente) un potenziamento delle caratteristiche vitali ottenuto da incroci eterogenei: ripeto, nei piselli è stato sperimentato. Anche nella canapa, se non erro. Ma nei cani no. Non esiste alcuna evidenza scientifica a suffragio di questa teoria.
Ancora una volta, quello che si cerca di ottenere con incroci eterogenei è soltanto una sorta di “ridistribuzione” del materiale genetico, nella speranza che si combini in modo a noi gradito.
Ma non è detto che le cose vadano così.
Purtroppo – sperimentato anche sulla mia pelle, o meglio su quella dei miei cani – la verità è che l’outcross solitamente porta, almeno in prima generazione, alla comparsa di caratteri (fenotipici) tutt’altro che desiderati… specie se hai passato mezza vita ad allevare cani più omogenei possibile, che portassero “il tuo marchio di fabbrica”. E questa è una cosa a cui tutti gli allevatori tengono moltissimo non perché amino fare i cani “griffati”, ma perché “quel” tipo di cane è, per loro, l’espressione ottimale della razza.
Ovvio che l’espressione la fissi lavorando in consanguineità: ma non necessariamente in inbreeding.
Personalmente ho accoppiato una sola volta in vita mia padre e figlia, dopodiché ho sempre lavorato su ceppi limitrofi ma non diretti (in parole povere: cugini, nipoti e affini). Questo, che si chiama linebreeding, è di gran lunga il metodo più usato in allevamento.
Certo, quando lavori su poche linee rischi di fissare, insieme ai caratteri desiderati, anche le tare: per questo io ritengo consigliabile allontanarsi, almeno una volta ogni tanto, dalla “linea portante” e introdurre sangue nuovo. Però, quando l’ho fatto, i cuccioli sono stati veramente deludenti, almeno dal punto di vista fenotipico.
Mi auguro (perché in realtà non lo so e non lo saprò mai) che il “sacrificio” estetico sia servito a dare linfa nuova al loro genotipo: ma per quel che ne so, potrei anche essermi messa “in casa” una nuova tara che per fortuna, a quanto ne so, non si è mai manifestata… ma che potrebbe farlo anche domani, anche se sono vent’anni che ho smesso di allevare, qualora si incontrassero e si incrociassero due cani entrambi portatori, che discendono da quel mio lontano accoppiamento.
E ancora una volta, il problema non sarebbe la consanguineità in se stessa, ma le tare GIA’ presenti in quei geni.
f) se siete ancora vivi… facciamo ancora quest’ultima disquisizione (corta, giuro) su “come scegliere il partner”, ricordando che è assolutamente sbagliato cercare in un soggetto la compensazione ai difetti dell’altro.
E’ un errore diffusissimo, specie tra chi di genetica ne mastica pochina, quindi vale la pena di parlarne.
Il succo è questo: se accoppi un cane con la coda storta verso destra con una cagna che ha la coda storta verso sinistra, NON avrai cuccioli con la coda dritta! Avrai, invece, un 50% di cuccioli con la coda che gira a destra e un 50% con la coda che gira a sinistra.
Detta così è un filino semplicistica, ok: ma il succo è questo.
Il cane con la coda storta a destra andrebbe sempre e solo accoppiato con una cagna con la coda dritta: in questo caso avrai maggiori possibilità che almeno metà dei cuccioli abbia la coda dritta (in realtà sarebbe esattamente così se i cani si riproducessero solo in base all’ereditarietà mendeliana: abbiamo già detto che così non è, e non sto a spiegarne qui i motivi perché non ne usciremmo vivi… però lo capirete se leggerete la nostra rubrica di genetica, dove invece è spiegato proprio tutto per filo e per segno).
EXCURSUS FINALE IPER-TECNICO
Inserisco qui, per completezza (ma senza troppe illusioni che qualcuno la legga!), la formula del coefficiente di inbreeding, che andrebbe sempre valutato…almeno quando si vuole selezionare seriamente.
Dubito che possa interessare più di tanto le Sciuremarie che pensano di far fare una cucciolata alla Fufi, ma… non si sa mai. Intanto facciamo loro sapere che esiste.
Il coefficiente di inbreeding, chiamato F dal suo inventore Wright (che lo formulò negli anni ’20), viene invece chiamato comunemente COI dagli allevatori (malignata: almeno da quelli che sanno che esiste!) e si calcola così:
F X = S [(½) n + n' + 1 ] (1+FA)
Laddove:
Fx è il coefficiente di consanguineità di X
n è il numero di generazioni che separano il padre di X da un antenato A, comune sia al padre che alla madre di X
n’ è il numero di generazioni che separano la madre di X dallo stesso antenato comune A
S è la sommatoria dei contributi diversi dovuti a ciascun ascendente comune
FA è il coefficiente di consanguineità dell’ascendente comune A (nel caso sia esso stesso inincrociato)
Se siete andati in coma profondo (non preoccupatevi: siete in buona compagnia), facciamo qualche esempio pratico, che è più semplice:
In un incrocio tra fratello e sorella, o tra padre e figlia, o tra madre e figlio, X sarà inincrociato per il 25%
In un incrocio tra fratellastri (un solo genitore in comune), X sarà inincrociato per il 12,5%
Dopo due generazioni di accoppiamenti tra fratello e sorella con 4 ascendenti comuni , X sarà inincrociato per il 37,5%
…e così via.
Ovviamente, da un ipotetico accoppiamento madre x figlio, i prodotti saranno consanguinei per il 25%…ma se una figlia di questa cucciolata venisse nuovamente accoppiata con il padre, la consanguineità salirebbe al 37,5%, e via aumentando se si continuasse ad accoppiare il maschio originale con nipoti, bisnipoti e così via.
C’è un limite invalicabile al coefficiente di consanguineità?
Teoricamente no, se si fosse sicuri di usare solo soggetti sani al 100%: ma siccome abbiamo visto che questo in pratica non avviene mai, la prudenza suggerisce normalmente di tenersi entro il 12-15%.
E’ importante ricordare che non ha molto senso limitarsi ad esaminare padre e madre di una cucciolata, perché il COI potrebbe salire vertiginosamente nel caso in cui questi due soggetti derivassero a loro volta da inbreeding: così come ha poco senso esaminare soggetti oltre la quinta-sesta generazione, perché il loro contributo genetico diventa pressoché ininfluente.
Per chi (come la sottoscritta) andasse nel panico e si coprisse di bolle di fronte a qualsiasi formula matematica, ricordo infine che esistono dei software, Dio li abbia in gloria, che permettono di valutare comodamente il COI inserendo semplicemente i pedigree dei cani interessati sul proprio PC. E non solo: per alcune razze (non molte: mi vengono in mente setter, bracco italiano e pastore tedesco…e personalmente non ne conosco altre, ma questo non significa che non ce ne siano) si possono anche trovare database già pronti in cui si può verificare il COI di tutti i soggetti iscritti ai libri genealogici.
da Ti presento il cane